Il sole sorge alle 6.45 e tramonta alle 19.20, fuso orario di +1 ora, pioggie torrenziali quasi tutte le notti , caldo equatoriale di giorno, cielo immmmenso, costellazioni mai viste, così pure le piante, gli insetti e i gli animali scorrazzanti (go,strani scoiattoli e anieri, strane lontre) e poi motociclette taxi che si chiamano boda boda.
Ebbene son già passate due settimane, volate!
Settimana iniziata qua in città (Gulu) con un carico di malati da portare in ospedale, pezzi nuovi per pozzi da riparare e frutta esotica dal mercato cittadino(mmm..goduria..mango, ananas, banane di ogni sorta, avocado, passion fruit..). Piccolo passo indietro: cosa sta succedendo qua, ora?
La guerra ha molte facce e dovrei cominciare raccontandovi le motivazioni politiche e personalistiche dei leader , troppo spesso sottovalutate. Dovrei raccontare quante facce sa assumere la democrazia, e cosa significhi lo Stato, qua in Africa. Dovrei anche parlare degli intrecci tra gli stati di questa regione dei grandi laghi e spiegare come continuano a convivere qua l’anima africana e quella coloniale. E provare a osservare le facce del denaro in tutto questo. Le segno qua, per non dimenticarmi di provare a farlo poco a poco. Ciò che oggi posso descrivere però, ciò che vedo ogni giorno, è cosa lascia la guerra nella vita quotidiana delle persone, mentre continuano i colloqui di pace tra il governo e i ribelli dell’LRA, all’interno di lussuosi palazzi a Juba, nel sud Sudan con un budget di spese giornaliere esorbitanti. Piano piano (mot mot) il popolo Acholi di quest’area sta tornando a ricostruire le vecchie case, abbandonate durante la guerra per scappare nei vari campi profughi (campi di capanne attaccate, ai bordi della strada principale con accanto un piccolo presidio dell’esercito, pessime condizioni sanitarie, totale dipendenza dagli aiuti internazionali). Tornare, significa riappropriarsi delle proprie terre da coltivare con i confini confusi nell’erba, ricostruirsi la casa (capanna di mattoni di terra, bambù e tetto in paglia), ricostruire le latrine, ricostruire le scuole, ma soprattutto i pozzi. La guerra e l’abbandono distruggono. E cambiano volto alla terra e al suo popolo. E, personalmente, trovo commovente la capacità dell’uomo di ricostruire.. rapporti, case, famiglie. E noi? Settimana fatta di pozzi riparati e di distribuzione di attrezzi e materiali vari (bamboo, chiodi, asce, coperte, teloni per giacigli provvisori e latrine). Perchè pace significa anche poter tornare a casa, poter ricominciare a zappare, riunire la famiglia allargata, vivere in mezzo a una natura talmente viva da nascondere case e persone, che si perde a vista d’occhio e che regna, padrona rispettata. Pace è anche prendere coscienza di sè, è voglia di cooperare, è bisogno di crescere, così ci è sembrato carino dare una mano al gruppo giovani del campo dove viviamo (minakulu) a creare uno spazio in cui avere libri comuni (gentilmente donati da alcuni nostri amici) e in cui semplicemente avere la possibilità di leggere.
War? Peace? Africa? World? Forse davvero, le risposte più utili sono quelle che propongono nuove domande..
E se vi va di sganasciarvi alla faccia mia, andate di nuovo sul blog del teo, il quale mi ha rubato la foto che volevo postare..
Grosso abbraccio!